Famiglia

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Il primo impatto con il deficit della sordità:

le possibili reazioni dei genitori e il rapporto con gli specialisti



Premessa 

Il libro preso come riferimento per la trattazione dell'argomento "Il primo impatto con il deficit e le possibili diverse reazioni dei genitori" è: "Il Counseling per genitori di bambini audiolesi" di David Luterman1. L'autore è considerato uno dei maggiori esperti di counseling non-direttivo per i genitori dei bambini sordi. Innumerevoli sono i suoi scritti sull'argomento.


Counseling è un termine inglese che non ha un corrispettivo in italiano e che, nel suo significato globale, indica tutte le metodiche informative e di supporto emotivo utilizzate da medici e paramedici nel colloqui con l'adulto ipoacusico o con i genitori del bambino sordo. L'attivià di counseling, quindi non consiste solo nel fornire delle semplici risposte alle domande dei pazienti (counseling informativo), ma, per essere valida, deve tener presente il particolare stato emotivo dell'interlocutore (counseling affettivo).


In letteratura sono descritti due tipi di counseling: il direttivo ed il non-direttivo. Nel primo il counselor (cioè chi fa il counseling) impone delle soluzioni, mentre, nel counseling non-direttivo, il counselor svolge una funzione di supporto tecnico-affettivo poiché sarà il paziente stesso che troverà le risposte alle prime domande e che dovrà risolvere autonomamente i propri dubbi e le proprie ansie.


Secondo il testo preso in esame il percorso della famiglia in cui nasce un figlio con sordità prevede generalmente i seguenti passaggi:

La situazione dei genitori all'inizio

La reazione di disperazione

Lo stato di shock

L'ammissione

Il rifiuto

La presa di coscienza 

L'azione costruttiva 

Le aspettative dei genitori 

Riferimenti bibliografici 



La situazione dei genitori all'inizio

Quando i genitori si accorgono che il loro bambino è audioleso, dubbi sempre maggiori li investono e il loro comportamento è caratterizzato dall'ansietà. Dopo la conferma della diagnosi, le reazioni dei genitori sembrano seguire uno schema che prevede sei fasi: reazione di disperazione, lo stato di shock, l'ammissione, il rifiuto, la presa di coscienza, l'azione costruttiva. Lo specialista deve essere a conoscenza delle aspettative dei genitori in rapporto alla riabilitazione del figlio e può facilitare il normale processo di reazione alla crisi adottando il ruolo di ascoltatore che non formula giudizi, invece di quello di colui che dispensa informazioni.

L'autore scrive: Se mi dessero l'incarico di scrivere il copione per un film con i genitori di un bambino sordo come protagonisti, si potrebbe svolgere più o meno così?

"SCENA 1. Due giovani sposi in attesa di un figlio. Lei, in evidente stato interessante, parla delle esperienze e dei sogni sul bambino che sta per nascere. Il padre parla di "lui" come del futuro Presidente degli Stati Uniti; la madre parla di "lei" come della futura Presidentessa.

SCENA 2. Nascita di un maschietto. Entrambi i genitori colmi di gioia. La madre ammira il neonato con una espressione di serena felicità. Il padre ovviamente scoppia di orgoglio.

SCENA 3. Il piccolo ha tre mesi, nella culla, sta giocando con un sonaglino. La madre entra nella stanza e lo chiama. Il bambino non si volta. La madre aggrotta le sopracciglia.

SCENA 4. Il bambino sul seggiolone. La madre al lavandino della cucina, dietro al bambino; sta lavando i piatti. Le cade un piatto facendo molto rumore; il bambino non reagisce. La madre aggrotta le sopracciglia ancora di più.

SCENA 5. Il bambino ha circa sette mesi. I genitori a tavola parlano. Il padre: "È stata una bella festa quella di ieri sera".

La madre: "Com'è bravo il nostro bambino. Non si è svegliato nemmeno con tutto il rumore che abbiamo fatto... Pensi che ci sia qualcosa che non va?".

Il padre: "No! È assolutamente perfetto".

SCENA 6. Il padre si avvicina furtivamente dietro al bambino, che è seduto sul seggiolone. Lo chiama ad alta voce, ma il figlio non reagisce. Il padre prende un tamburo e lo percuote violentemente. Il bambino si gira, vede il padre e sorride. II padre è sollevato.

SCENA 7. Il padre e la madre a spasso con il figlio, che adesso ha un anno. Un aereoplano passa sopra le loro teste e il bambino non reagisce. 1 genitori si guardano con timore ed apprensione.

SCENA 8. Più tardi, quella sera, i genitori parlano a bassa voce.

La madre: "C'è qualcosa che non va".

II padre: "Credo che tu abbia ragione: pensi che possa essere ritardato?".

La madre: "Andiamo a parlarne con il pediatra".

SCENA 9. Nello studio del pediatra. II dottore osserva con gentilezza il bambino che gioca sul lettino. La madre e il medico parlano.

La madre: "Credo che ci sia qualcosa che non va nel mio bambino. Non mi risponde quando lo chiamo".

Il dottore: (si sposta dietro al bambino e batte forte le mani. Il bambino si gira). "Non penso vi sia nulla di anormale. Siete semplicemente troppo ansiosi. Dopo tutto è il vostro primo figlio".

SCENA 10. (in tono molto teso). "Sono sicura che c'è qualche cosa che non va nel nostro bambino e consulterò un centro audiologico". Il padre: "Sono d'accordo".

SCENA 11. 1 genitori entrano nella clinica. Il padre porta in braccio il bambino; l'apprensione è molto evidente sui visi di entrambi i genitori.

SCENA 12. All'interno di una cabina silente, il bambino è seduto ad un tavolino con dei giocattoli davanti a lui. Dagli altoparlanti posizionati sui muri arrivano suoni molto intensi e acuti. Il bambino non reagisce. La madre è rannicchiata in un angolo della cabina, dietro al bambino; le lacrime le bagnano il viso.

SCENA 13. Nello studio del dottore.

Il dottore: "Mi dispiace, ma vostro figlio è sordo e non esiste un trattamento medico che possa restituirgli l'udito".

Il padre: "È sicuro di non poter far nulla?". Il dottore: "Sì".

Non so se a Hollywood sarebbero interessati a produrre un film tratto da questa sceneggiatura. Tuttavia, pur tenendo conto di tutte le possibili differenze individuali, esso rispecchia abbastanza fedelmente le esperienze dei genitori quando si rendono conto e giungono alla diagnosi finale di sordità del loro bambino. 


La reazione di disperazione

Le prime esperienze dei genitori di un bambino sordo sono facilmente prevedibili e quasi universali. La sordità viene raramente presa in considerazione dai genitori o dal pediatra a causa della bassa incidenza statistica delle sordità gravi e dalla scarsa sintomatologia di questa menomazione quando il bambino è piccolo.

Di conseguenza, poche persone possiedono sufficienti informazioni o esperienze per considerare la sordità anche solo come una possibile evenienza. All'inizio i genitori sono beatamente inconsapevoli di qualsiasi possibile difetto nel loro bambino. In seguito uno dei genitori, di solito la madre a causa dei più frequenti contatti con il figlio, comincia a sospettare vagamente che qualcosa non funzioni. Ancora una volta non è la sordità la prima sospettata, ma un ritardo mentale. Prima o poi la madre confida le proprie paure al marito che, spesso, trova difficile accettare l'eventualità che il bambino abbia qualche difetto.

A un certo punto diventa impossibile ignorare la realtà e i genitori cominciano a mettere alla prova di nascosto il bambino. Nel periodo successivo, che dura parecchi mesi, essi vivono in uno stato d'animo di grande incertezza e paura. Parte delle difficoltà nel valutare l'udito di un bambino molto piccolo, soprattutto quando chi lo osserva non è una persona obiettiva, è dovuta al fatto che il bambino può reagire regolarmente al rumore se esso supera la sua soglia uditiva (la sordità è raramente totale e quasi tutti i sordi hanno dei residui uditivi), oppure può reagire alle vibrazioni, a stimoli visivi o al cambiamento di pressione dell'aria provocato dai movimenti di chi produce i rumori; si ha così una falsa reazione.

La scena 6, dove il padre ottiene una reazione, e la scena 9 nella quale anche il pediatra sembra ottenerla, sono molto tipiche della situazione che si verifica quando il bambino è tra i 6 e i 12 mesi d'età. Durante questo periodo i genitori sono su una "altalena" emotiva e alternano periodi di disperazione, quando non ottengono alcuna reazione, a periodi di esaltazione quando riescono ad ottenere una falsa reazione.

La scena nello studio del pediatra potrebbe sembrare piuttosto superficiale. È invece abbastanza tipica nei racconti dei genitori. In una indagine da noi condotta2, abbiamo chiesto a più di cento famiglie quali fossero state le loro prime esperienze con il medico. Quasi tutti hanno riferito di aver consultato prima di tutti il pediatra; più del 43% ha affermato che, in base alla loro esperienza, i consigli ricevuti dal pediatra erano sbagliati. In molti casi il medico reagì come il padre nella scena 5: negò l'esistenza del problema. In altri casi i genitori dissero che il medico aveva espresso un giudizio del tipo: "Sì, il bambino è sordo, ma non c'è niente da fare prima che abbia 3 o 4 anni".

Simili studi retrospettivi non sempre sono affidabili perché i ricordi, di quanto accadde nell'ambulatorio del pediatra, prima di arrivare in superficie, passano attraverso il filtro dell'angoscia e della collera. Ciò nonostante, nella nostra indagine abbiamo appurato che la maggior parte dei genitori aveva consultato il pediatra quando il bambino aveva circa 12 mesi, e che la diagnosi di sordità era stata fatta all'età di 18 mesi. Questo scarto di sei mesi tra la consultazione con il primo specialista e la diagnosi deve perciò essere in parte dovuta alla mancanza di comunicazione tra genitori e medico.

Alla fine, i genitori arrivano ad un centro audiologico, dove la diagnosi di sordità viene definitivamente confermata. Per molti genitori, la dichiarazione iniziale: "Il vostro bambino è sordo", provoca una sensazione di sollievo. La madre di solito dice tra sé: "Ora, finalmente, qualcuno mi crede", oppure "Grazie a Dio, non è ritardato".

Nella maggior parte dei casi è da un anno che i genitori sono pronti ad ascoltare questa diagnosi. L'impatto devastante, da un punto di vista emotivo, viene inferto dal medico nel momento in cui informa i genitori che nessuna cura medica o chirurgica potrà correggere il deficit uditivo del bambino. Fino a quel momento, infatti, l'unica speranza dei genitori è stata la convinzione che "loro" (gli scienziati) avrebbero sistemato tutto. Dopo tutto "loro" riescono a mandare uomini sulla luna, "loro" trapiantano cuori, perciò certamente "loro" avranno anche la cura per la sordità.

È solo quando si rendono conto che. il bambino è sordo e che tale rimarrà, che i genitori incominciano a mostrare segni di disperazione e a dolersi per una enorme perdita: il sogno che il loro bambino sarebbe stato uguale a tutti gli altri e avrebbe persino potuto diventare Presidente degli Stati Uniti (vedi scena 1).

Le reazioni psicologiche ad uno stato di crisi sono state ben documentate da Shontz3, il cui studio fornisce un utile modello per capire le reazioni che i genitori dei bambini sordi provano subito dopo la diagnosi. La reazione da crisi descritte da Shontz è anche sorprendentemente simile a quella descritta nel lavoro di Kubler-Ross4, che ha studiato le reazioni emotive di pazienti affetti da malattie incurabili; sembra dunque che esistano elementi psicologici quasi universali nelle reazioni agli stati di crisi.

Lo stato di shock

Lo stato di shock è caratterizzato dall'estraniare il proprio io dalla situazione di crisi; di solito è una condizione breve, che dura poche ore o, al massimo, uno o due giorni, e che funge da meccanismo difensivo per permettere ai genitori di superare lo stadio iniziale di disperazione.

La persona in stato di shock è in condizione di tensione attenuata e talvolta dice di provare uno stordimento introspettivo. Per esempio, una madre racconta: "Ricordo che ero nell'ambulatorio del dottore; mi sembrava di essere sul palcoscenico. Ricordo di aver fatto delle domande, ma non ricordo le risposte. Quello che avrei veramente voluto fare, era andare a nascondermi da qualche parte". I genitori raramente ricordano molto i quella prima visita. A volte rammentano fatti i poca importanza, come: "Ricordo che l'audiologo indossava un maglione rosso, ma non riesco a ricordare il suo nome". Sebbene i genitori siano presenti fisicamente, non prestano alcuna attenzione razionale o emotiva.

L'ammissione

Nello stadio dell'ammissione, i genitori cominciano a rendersi conto della terribile gravità della situazione e a recepirla emotivamente: "Tutto questo sta capitando proprio a me: ho un bambino sordo, che non sentirà mai, che sarà sempre sordo".
A questo punto ha inizio, da parte dei genitori, una reazione disperazione violenta, che comporta l'emergere di sentimenti molto intensi. Una delle sensazioni dominanti è quella di sentirsi totalmente sopraffatti. Io credo che tutti i genitori, prima o poi, si sentano inadeguati al compito di allevare il loro bambino, handicappato o meno che sia. Quando poi si trovano di fronte ad un figlio che ha esigenze particolari da soddisfare, essi si sentono ancor più sopraffatti ed inadeguati a svolgere il loro compito.
Questa sensazione di inadeguatezza viene costantemente alimentata ed incoraggiata dagli specialisti, che dispensano messaggi ispirati da teorie di questo tipo: "Il successo del recupero di questo bambino dipende da voi". (In passato anch'io facevo regolarmente discorsi del genere).
Un'altra reazione frequente dei genitori è la totale confusine; è facile infatti che gli specialisti dimentichino quanto ermetica la loro terminologia professionale. Per esempio, termini come "decibel", "audiogramma" e "otologo" sono sconosciuti ai profani e causano smarrimento se usati sbadatamente dallo specialista. I genitori non hanno nessun bagaglio di nozioni sulla sordità, perciò non possono valutare la qualità delle informazioni che ricevono da specialisti, parenti e amici; il risultato è la confusione totale, che spesso sfocia in una reazione quasi di panico.
Nello stadio iniziale la difficoltà dei genitori raramente consiste nella mancanza di informazioni, ma, al contrario, in un eccesso di informazioni accumulate troppo rapidamente5. Durante questo periodo essi provano un altro sentimento intenso: la rabbia. La rabbia insorge quando le proprie aspettative vengono distrutte. Non mi è mai capitato di conoscere una madre di bambino sordo che non abbia provato in una certa qual misura una rabbia profonda. Una parte fondamentale di questa rabbia è diretta contro il bambino: "Perché proprio tu devi essere sordo; perché hai deluso le mie speranze di avere un bambino normale, come tutti gli altri?". Questo particolare tipo di collera è raramente percepita a livello cosciente; viene più spesso trasferita sullo specialista, sul medico che ha diagnosticato troppo tardi la sordità e su chi non è stato capace di guarirla. Infine la rabbia viene interiorizzata dai genitori: questo stadio si manifesta con uno stato depressivo. A questo punto, di solito, i genitori si sentono "inchiodati" dalla situazione e dispongono solo delle energie sufficienti per sopravvivere. "Tutto quello che riuscivo a fare era di chiudermi nella mia stanza; tutte le volte che guardavo mio figlio, scoppiavo in lacrime". Pare che la mancanza di energia sia il risultato della lotta sostenuta per sopprimere la collera, che è essa stessa una forma di energia; quindi è necessaria una grande determinazione per riuscire a respingerla e mantenerla a livello inconscio. Un'altra fonte di rabbia è il sentimento di impotenza e di frustazione. Improvvisamente, come conseguenza della nascita di un bambino handicappato, i genitori hanno perso il controllo delle proprie esistenze. D'ora in avanti altre persone, ortofonisti, audiologi ed audioprotesisti, modificheranno radicalmente con le loro decisioni la vita dei genitori, senza che questi possano neppure controllare appieno tali cambiamenti. I programmi ed i sogni che i genitori avevano in mente dovranno forse essere abbandonati e per di più provano anche la sensazione terribile e fonte di disperazione, di non poter far nulla per aiutare il loro bambino. Per me, in veste di genitore, non riuscire ad aiutare i miei figli quando soffrono rappresenta una delle sensazioni più devastanti che abbia mai provato. La sensazione di impotenza da parte dei genitori è molto importante e porta ad un sentimento quasi di furore che raramente si manifesta apertamente. Arrivati a questo punto, non è raro che i genitori sentano il bisogno di "contrattare". Alcuni dichiarano pateticamente: "Se solo otessi dargli le mie orecchie, lo farei con gioia". Questo "mercanteggiamento" da parte dei genitori è molto simile a quello descritto da Kúbler-Ross, riguardante il paziente affetto da malattia incurabile in attesa di giungere ad un compromesso, sulla sua vita o sulla sua morte, prima con i dottori, e infine con il buon Dio. È un sintomo dell'angoscia che i genitori provano e che non può essere alleviata direttamente dallo specialista.
Il senso di colpa è un altro dei sentimenti predominanti, specialmente nella madre, che ha avuto la responsabilità di portare nel grembo il bambino durante la gravidanza. I genitori hanno un bisogno quasi ossessivo di scoprire la "causa" e di stabilire chi ha la colpa della minorazione del figlio. È a questo stadio che spesso incomincia il gioco delle accuse: "Se non fossi stato così sconsiderato in gioventù, questo non sarebbe successo". "Se fossi stata più attenta durante la gravidanza, questo non sarebbe capitato". "Tua zia (si noti che non è mai "mia" zia) non ci sente molto bene", e così via.
A volte i genitori si bloccano molto facilmente a questo stadio della "ricerca della causa" e dedicano moltissimo tempo ed energie per trovare la risposta ad una domanda, alla quale raramente si può rispondere in modo definitivo. Per di più, anche quando la si trova, di rado la risposta risolve i problemi emotivi dei genitori.
Il senso di colpa porta ad un ulteriore risentimento nei confronti del bambino; poi ad un più forte senso di colpa per questo risentimento: "Non dovrei provare questi sentimenti". Cominciano allora a chiedersi se non ci sia qualcosa di sbagliato in loro per arrivare al punto di provare un tale risentimento nei confronti del figlio.
Un'altra frequente manifestazione del senso di colpa provato dai genitori è l'iperprotezione del bambino: "Adesso che ti è capitata questa disgrazia, non permetterò che ti succeda nient'altro". La madre spesso "dedicherà" tutta la vita a fare del proprio figlio il miglior bambino sordo del mondo. Questa dedizione può escludere chiunque altro, compreso il padre, e può risultare dannosa per i rapporti con tutti gli altri membri della famiglia.
I genitori soffrono anche per la perdita del loro senso di invulnerabilità. Forse questa sensazione può essere descritta meglio come la perdita della certezza che il mondo sia un posto sicuro e che nulla di male ci può capitare. Il nostro senso di invulnerabilità, forse ingenuo, ci permette di muoverci liberamente e di correre dei rischi (come, per esempio, quello di avere un figlio) senza pensare troppo alle conseguenze.
Per i genitori di un bambino sordo è come se la vita si fosse rizzata come un serpente e li avesse colpiti in piena faccia; non potranno più accostarsi alla vita con la stessa fiducia che avevano prima di diventare genitori di un bambino handicappato. 


Il rifiuto

Dopo lo stadio di disperazione attiva, i genitori passano attraverso una fase di chiusura difensiva o di rifiuto. Questa reazione è in realtà un meccanismo di protezione per ridurre l'estrema tensione raggiunta durante lo stadio di ammissione.

Il rifiuto può esprimersi in vari modi. Uno di questi è l'illusione volontaria da parte del genitore: "Mi capitava di svegliarmi piena di gioia perché ero sicura che fosse stato solo un incubo. Correvo nella stanza di mio figlio e cercavo di svegliarlo chiamandolo per nome, ma, ovviamente, non ci riuscivo e così tutto ricominciava da capo". Questo modo di illudersi si manifesta anche nella ricerca di una cura miracolosa, per esempio di recente i genitori hanno riposto grandi speranze nell'agopuntura. Molto spesso intraprendono una disperata ricerca di una diagnosi più ottimistica e continuano a chiedere un'opinione dopo l'altra.

Esiste una differenza minima tra la madre eternamente "a caccia" di una diagnosi ottimistica e colei che, pur accettando responsabilmente la realtà, cerca una ulteriore conferma della diagnosi precedente. La madre a caccia di speranze non ascolta neppure ciò che le dicono: tende a recepire e a ricordare solo le considerazioni più ottimistiche. La madre realista non rifiuta la situazione ed è in grado di recepirne tutte le implicazioni.

Il rifiuto si trasforma spesso in rabbia nei confronti del medico che visita il bambino: "Come può dire che mio figlio è sordo? Gli ha solo dato un'occhiata all'orecchio per pochi secondi. Forse si è sbagliato". Questa critica è molto frequente tanto da far pensare che sarebbe consigliabile che i medici dedicassero un po' di tempo al bambino e ai suoi genitori. Pur non eliminando né la sordità né il suo rifiuto, un atteggiamento più sensibile da parte del medico potrebbe rendere più facile per i genitori accettare la sordità del figlio.

Il rifiuto può anche assumere una forma più sottile, come nel caso dei genitori che improvvisamente si dedicano anima e corpo alla raccolta di fondi e all'organizzazione di corsi scolastici. In apparenza sembra che tali genitori siano molto equilibrati, come se fossero veramente riusciti ad accettare la sordità del figlio. In realtà, invece, la loro partecipazione a tutte quelle riunioni per il reperimento di fondi e a quelle commissioni organizzative non è altro che un meccanismo adottato per evitare di occuparsi direttamente del loro bambino, il quale rimane tristemente trascurato a casa.

Ciò che distingue una madre attivista, ma che rifiuta la condizione in cui si trova, da una madre attivista ma consapevole, è la situazione del rispettivo bambino: il bambino della madre "positivamente" attiva è ben curato e seguito, mentre il bambino della madre che "rifiuta" è trascurato. A volte i genitori che "rifiutano" giungono ad una divisione dei compiti; per esempio, il padre diventa socialmente attivo, evitando in tal modo un coinvolgimento emotivo con il proprio figlio, mentre la madre resta a casa a far fronte alla situazione da sola. Per lo specialista questa situazione familiare è molto delicata da affrontare, dato che è molto difficile accusare il padre, il quale pur non essendo coinvolto dal problema a casa sua, dopo tutto, si impegna molto per aiutare i bambini sordi in generale.

Il rifiuto deve essere trattato sia dai genitori sia dallo specialista come uno stadio normale della fase della disperazione. È anche vero che i genitori possono bloccarsi nello stadio del rifiuto tanto da non riuscire ad elaborare un efficace programma riabilitativo. I genitori abbandoneranno questo meccanismo di difesa se si riuscirà a convincerli con dolcezza che si può affrontare costruttivamente il probema della sordità e che alla fine il loro figlio potrà essere un bambino felice e ben integrato.


La presa di coscienza

Lo stadio successivo è la presa di coscienza o accettazione. In questa fase il genitore, infine, afferma: "Il mio bambino è sordo e sarà sempre sordo, e sebbene io non possa cambiare la sua minorazione uditiva, posso fare molto per aiutarlo a diventare un essere umano responsabile". Questo è un periodo di estrema tensione perché i genitori devono confrontarsi di nuovo con la realtà. È il periodo in cui spesso il bambino ha una protesi acustica a scatola, molto visibile e i genitori incominciano a uscire più spesso con lui. Credo che il metro migliore per valutare il grado di accettazione del bambino sordo da parte dei genitori sia il loro rapporto con la protesi acustica. I bambini di genitori che sono ancora nello stadio del rifiuto, generalmente portano la protesi nascosta sotto gli indumenti, hanno continui problemi di riparazioni e spesso vanno a scuola senza la protesi. Per la madre, la protesi acustica del bambino è un simbolo molto eloquente della sua sordità e solo quando avrà accettato la sordità il rapporto con la protesi acustica potrà essere risolto. Il medico che tenta di combattere i sintomi del rifiuto dei genitori insistendo affinché il bambino vada a scuola con protesi perfettamente funzionanti è destinato a fallire. La sua attenzione dovrebbe essere concentrata sul rifiuto della madre; quando questa avrà raggiunto lo stadio dell'accettazione, i problemi riguardanti la protesi si risolveranno come per miracolo. Si nota tra i genitori di bambini sordi la necessità di confessare pubblicamente la loro condizione, impulso molto simile a quello degli alcolizzati, che, nel corso della riunione degli Alcolizzati Anonimi dichiarano i loro nomi ancor prima di confessare che sono degli alcolizzati. Nel rapporto di consulenza con lo specialista prima, poi forse nelle riunioni di gruppo con altri genitori e infine in situazioni della vita di tutti i giorni, i genitori incominciano a poco a poco a parlare liberamente ed apertamente della sordità del loro bambino, escono in un certo senso dalla "clausura" e prendono coscienza della loro condizione di genitori di un bambino handicappato.

L'azione costruttiva

Lo stadio finale del processo di disperazione è l'azione costruttiva o adattamento. In questa fase carica di ansia ma anche di energia, i genitori ristrutturano il loro sistema di vita e riesaminano la loro scala di valori. Gran parte di questo stadio è altamente positivo. Una madre lo ha descritto così: "Ora sento di avere uno scopo, sento che i miei valori sono migliorati da quando abbiamo avuto questo bambino. Sarei rimasta una casalinga provinciale e perennemente annoiata che passa il tempo giocando a bridge o spettegolando con le amiche. Ora so che cosa è importante e la mia vita ha uno scopo. Non mi ero mai resa conto quanta gioia mi potesse dare questo bambino; ogni volta che dice una parola, mi sento orgogliosa e felice; ogni progresso raggiunto è una conquista che riempie tutti di gioia". Un'altra madre ha dichiarato: "Essere la madre di un bambino non normale è un'esperienza piena di dolore, dispiaceri e sacrifici, ma è anche un'esperienza ricca di gioia, sensibilità e amore" (4). Ho udito affermazioni come queste così spesso che non provo più alcuna pena per i genitori dei bambini audiolesi. Sono arrivato alla conclusione che il bambino offre ai genitori un'opportunità molto rara di maturare, nonostante ciò costi molti dolori e fatiche.

Per molti genitori allevare un figlio handicappato ha portato a un cambiamento fondamentale dei loro valori e ad un arricchimento della loro vita. Una madre mi ha detto: "Sarei l'ultima persona al mondo ad affermare che il ritardo mentale è una condizione felice; eppure, quando il nostro bambino nacque, se almeno una sola persona ci avesse detto che, nonostante la nostra tristezza, c'era speranza, che non era la fine del mondo ma piuttosto una sfida e una solidarietà che avrebbe portato ogni membro della famiglia ad esprimere il meglio di se stesso, il nostro dolore sarebbe stato molto più sopportabile"1.
Gli stadi di shock e di ammissione sono relativamente di breve durata e raramente si prolungano più di qualche settimana. Lo stadio del rifiuto può essere presente in tutti (negli stadi successivi viene chiamato "speranza"), ma non interferisce necessariamente con l'azione costruttiva. Gli stadi di presa di coscienza e azione costruttiva durano l'intera vita e mutano costantemente attraverso queste fasi ogni volta che sono costretti ad abbandonare determinate abitudini; per esempio, quando devono cambiare scuola, oppure il metodo educativo perché dà scarsi risultati, o quando si verifica un peggioramento nell'udito del bambino. Tutte queste esperienze possono fare scattare una reazione di crisi; tuttavia raramente questa reazione è così profonda o così grave come quella provata nel momento della prima diagnosi.

Le aspettative dei genitori

Quando il bambino è molto piccolo, i genitori si recano dallo specialista carichi di speranze, molte delle quali verranno deluse, non tanto per colpa dello specialista. Lo specialista deve conoscere queste aspettative e prepararsi ad affrontare la collera dei genitori giacché molto spesso l'ira causata dalla delusione verrà trasferita su di lui.

L'aspettativa più importante che la maggior parte dei genitori vede delusa è quella di avere un bambino normale e, per quanto sia ovvia, essa viene spesso trascurata sia dai genitori stessi sia dallo specialista. La maggior parte della gente affronta la nascita di un figlio dando per scontato che il loro sarà un bambino normale, naturalmente bellissimo e con buone probabilità di diventare il Presidente degli Stati Uniti. Nonostante possa esserci una certa ansia durante la gravidanza, raramente la si ammette o se ne parla. Quando i genitori vengono a conoscenza della sordità, sentono profanata la loro invulnerabilità e reagiscono dapprima con lo stupore, poi con la rabbia diretta verso il bambino.

La seconda aspettativa delusa riguarda lo specialista poiché non si prende cura di loro guarendo l'orecchio danneggiato del figlio oppure non si assume la completa responsabilità della sua educazione. Molte speranze riguardano anche la protesi acustica. I genitori tendono a paragonarla agli occhiali: "Le persone che hanno problemi di vista portano gli occhiali per vedere normalmente; allora, perché mai un bambino con un problema di udito non può udire normalmente portando una protesi acustica?". Questa speranza perdura nonostante tutti gli avvertimenti dell'audiologo e porta alla sindrome di delusione-rabbia. Questa è un'ulteriore spiegazione del perché i genitori mandano con tanta difficoltà il bambino a scuola munito di protesi acustiche ben funzionanti. I genitori hanno spesso confessato di avere odiato intensamente le protesi acustiche, all'inizio, perché non consentivano al bambino di udire bene e per di più rendevano manifesta la sua sordità.

L'aspettativa delusa più profonda, e forse più fatale, riguarda ciò che i genitori si attendono da se stessi e dal bambino. Questa aspettativa prevede che sconfiggeranno la sordità con assoluta disinvoltura ed eleganza, senza mai disperarsi (o almeno non per molto tempo) o arrabbiarsi. Essi vogliono che tutta la famiglia funzioni come una squadra in cui regna l'amore e la cooperazione, dove ognuno si impegna ad allevare un "super" bambino sordo. Naturalmente sono convinti che il loro bambino parlerà benissimo e diventerà una persona straordinaria come, per esempio, il primo astronauta sordo. Non ho ancora incontrato la famiglia ideale, ma ho visto molte persone meravigliose lottare con i problemi della condizione umana, il che significa proprio disperarsi, arrabbiarsi, commettere errori, brancolare nel tentativo di riuscire a fare tutto nel migliore dei modi. È essenziale, da un punto di vista clinico, analizzare insieme ai genitori tutte queste speranze perché sono destinate a rimanere deluse dato che il bambino è nato handicappato. Il bambino non potrà sentire "normalmente" e l'insegnante non potrà assumersi tutte le responsabilità di educarlo (anche se alcuni cercano di farlo); le protesi acustiche non potranno guarire la sordità, né probabilmente il bambino potrà superare del tutto il suo handicap.
Le aspettative deluse portano ad uno stato di rabbia, seguita dal rifiuto ed infine dalla disperazione. Quando la madre, la quale si aspetta che il suo bambino sordo parlerà come tutti i normoudenti, si rende conto che invece non parlerà molto bene, è di nuovo presa dalla rabbia. Questa ira rinnovata colpisce l'ortofonista o la scuola, talvolta si ritorce anche contro la madre stessa ed infine si sfoga sul bambino. Spesso la madre rifiuta all'inizio il programma di rieducazione ed intraprende una spedizione di "caccia" alla ricerca dell'insegnante o della cura migliore. Alla fine il bambino stesso sente il rifiuto e si rende conto in qualche modo di essere la causa della disperazione della madre.

Le aspettative limitano l'obiettività. La madre si aspetta che il suo bambino parli e tende perciò a considerarlo solo in termini di quanto bene o male parli, senza notare né ammettere gli altri aspetti del suo sviluppo. Quando si discutono le aspettative dei genitori sulle possibilità di progresso del figlio, è importante che il medico non accenni agli spesso inevitabili limiti riabilitativi; penso che ciò sarebbe altrettanto dannoso delle eventuali grandi ma non realistiche speranze dei genitori. L'obiettivo del medico deve piuttosto essere quello di aiutare i genitori a mettere da parte le loro aspettative e ad imparare ad affrontare giorno per giorno i problemi loro e quelli del figlio. Dato che è molto difficile raggiungere questa meta, gli specialisti dovrebbero prima di tutto analizzare le proprie aspettative di felicità nella vita e poi il loro modo di operare prima di occuparsi di genitori e bambini. Solo quando lo specialista avrà imparato ad accettare prima sé stesso ed in seguito i genitori, diverrà per loro un modello di comportamento aiutandoli ad imparare la filosofia di "una cosa per volta, giorno dopo giorno". È fondamentale che i genitori accettino questa filosofia: solo così tutto andrà per il verso gusto sia con la famiglia che con il bambino"( D. Luterman, 1983, p.3-15).


Riferimenti bibliografici

1 Luterman D., Il counseling per i genitori dei bambini audiolesi, Centro ricerche e Studi Amplifon, Milano, 1983.

2 Luterman D.,and Chasin J., The Pediatrician and the Parent of the Deaf Child, Pediatrics, 45(7): 115-116,1970.

3 Shontz F., Reactions to Crisis, Volta Review, 69: 405-411, 1967.

4 Kubler-Ross, On Death and Dyong, New York, Macmillan, 1969.

5 Michaelis C., Merry Christmas Jim, and Happy Birthday!, The Exceptional Parent, 6: 6-8, 1976.