Logopedia

Figura e compiti del logopedista


I disturbi della voce, della parola e del linguaggio, colpiscono sia il bambino che l'adulto; il logopedista (dal greco logos-paideuo = linguaggio-educo, correggo) è un tecnico della riabilitazione, che ha il suo oggetto specifico nella cura del linguaggio, utilizza metodiche e accorgimenti rispettando la singolarità di ogni caso. Il linguaggio permea la vita dell'uomo; esso infatti non è solo espressione verbale, ma anche comprensione, pensiero, messaggio scritto, lettura, comunicazione, condizione imprescindibile nei rapporti umani. E' compito del logopedista considerare e valutare quindi il versante espressivo generale della persona: accertare il livello della comprensione, valutare il livello cognitivo, esaminare la capacità grafica, valutare la capacità di leggere e comprendere un testo scritto, non trascurare le problematiche di ordine psicologico del soggetto. Al logopedista è richiesto, prima di tutto, di saper conoscere il soggetto da educare o rieducare, per questo è indispensabile che cerchi di cogliere tutti quegli elementi diagnostici e non, che potranno risultare utili per l'impostazione del rapporto. Per ottenere buoni risultati nella educazione-rieducazione è indispensabile che il terapista si ponga costantemente in ascolto delle esigenze, delle difficoltà e delle capacità del soggetto. (A. De Filippis, 1998), (P. Massoni, S. Maragna, 1997).


Logopedista-bambino-genitori: determinante è il modo in cui viene instaurato il rapporto con il bambino; lo scopo iniziale è quello di ottenere la sua fiducia e collaborazione,;il rapporto potrà essere, a seconda dei casi, prevalentemente ludico, pedagogico o tecnico. La collaborazione dei genitori è una delle condizioni indispensabili per la buona riuscita dell'intervento educativo. Nelle prime sedute pertanto il logopedista si limiterà ad osservare il bambino nelle diverse situazioni proposte, valutando reazioni e manifestazioni, individuando la migliore strategia di approccio. Il terapista è per il bambino un adulto nuovo, non ancora inserito nel suo sistema relazionale; è differente dai genitori, differente dagli insegnanti: è un adulto investito di un ruolo particolare. Bisogna riconoscere che la rieducazione impone al soggetto uno sforzo notevole, con regolari sedute, lavoro a volte faticoso, impiego di tempo, rinuncia a impegni piacevoli. La rieducazione deve saper dosare il binomio: "fatica-piacere"; il rieducatore deve essere capace di procurare al bambino un sufficiente piacere di compensazione, mettendo in risalto quelle che sono le sue capacità. (A. De Filippis, 1998).

Logopedista-adolescente: il rapporto è completamente diverso dal precedente; l'adolescente è un soggetto che attraversa una fase delicata della sua vita nella quale non è ancora un adulto ma non è più un bambino. L'impostazione del rapporto si basa sulla responsabilizzazione del ragazzo; il logopedista punta sul suo amor proprio, gli parla come si parla ad un adulto, pur tenendo conto della sua età, mostra fiducia nella sua possibilità di riuscire a migliorare, tiene conto del suo livello cognitivo e culturale e si regola di conseguenza. Nel caso in cui il livello intellettivo sia gravemente compromesso, il terapista chiede l'aiuto dei genitori. L'adolescente deve trovare nella sicurezza del rieducatore tutto l'appoggio che gli occorre, ma deve al tempo stesso vivere questo rapporto a due come una relazione impostata sull'amicizia e lealtà. A volte il ragazzo, dopo un breve periodo, si rifiuta di continuare la rieducazione;  in tal caso è bene allora spiegargli l'utilità di proseguire, prospettando i vantaggi che acquisirà sopratutto quando sarà adulto, lasciando comunque libera la scelta. Occorre avere un grande rispetto per la persona in evoluzione, tenendo presente che essa attende guida e consiglio e non imposizione o limitazione all'evolversi della sua personalità. Il soggetto va gratificato, ma con equilibrio, non con un atteggiamento simile a quello che si terrebbe con un bambino. E' importante dare un'impronta di chiarezza nei rapporti logopedista-ragazzo-genitori; è facile incontrare genitori che non considerino il proprio figlio come adolescente, ma mantengono con lui un rapporto protettivo; in questi casi il ragazzo non viene stimolato a fare le cose da solo e per questo non è motivato a migliorare. Il terapista, nelle situazioni di questo tipo, nei limiti del possibile farà frequentare al ragazzo le sedute dell'attività rieducativa da solo. (A. De Filippis, 1998).

Logopedista-adulto: il rapporto varia sensibilmente in relazione al tipo e al grado di patologia che il paziente presenta. Se il disturbo è lieve e richiede una terapia breve, il problema verrà affrontato in termini puramente tecnico professionali. Possono esserci casi in cui il disturbo della voce, della parola o del linguaggio impedisca al soggetto di svolgere o continuare la propria attività lavorativa, il problema si presenta complesso e difficile da affrontare. L'adulto colpito da una alterazione di questo tipo, è generalmente una persona sofferente, frustrata, molte volte non accetta il suo deficit. possono verificarsi atteggiamenti del tipo: diventare taciturno, chiudersi in se stesso, non volere sottostare alla rieducazione, pessimismo nei confronti della vita, ecc. Per il rieducatore, il momento dei primi contatti con il soggetto è molto delicato, per il fatto che deve capire quale rapporto instaurare, se può esigere o se deve portare il soggetto lentamente a collaborare; se la persona in terapia è in grado di parlare e se lo desidera deve poter esprimere i propri problemi e le proprie perplessità. La famiglia ha un ruolo determinante nel rapporto con il terapista, se il paziente è autosufficiente e può recarsi alle seduta da solo, generalmente non esistono grandi problemi, tuttavia il logopedista deve sensibilizzare i familiari attraverso colloqui, a svolgere un'azione discreta ma costante di aiuto nella stimolazione per il proprio familiare. Quando l'adulto in terapia ha anche altri problemi, ad esempio motori o psichici, il lavoro del terapista richiede attenzioni particolari nei confronti della persona; i familiari devono essere incoraggiati e motivati per la stimolazione ma nello stesso tempo, le prospettive di recupero è bene siano chiare. (A. De Filippis, 1998).


Terapia logopedica del bambino sordo


Secondo alcuni orientamenti, nelle sordità gravi e medie, il modello d'intervento deve essere molto intenso e costante, con un buon numero di sedute settimanali. Nei primi anni di vita del bambino sordo, durante le sedute iniziali di terapia, è bene che i genitori siano presenti, così non solo da favorire la comunicazione bambino-genitore, ma anche per dare loro l'opportunità di vedere, imparare e riportare nelle situazioni di vita quotidiana le modalità comunicative e linguistiche usate dal logopedista.
Il primo incontro è particolarmente delicato, in questa fase i genitori sono comprensibilmente angosciati dalla scoperta della sordità del loro figlio, vogliono essere rassicurati. Il logopedista ha il compito di instaurare un buon rapporto con i genitori, cercare di comprendere la causa delle loro reazioni, di appoggiarli, sostenerli e incoraggiarli. E' indispensabile che in questa opera di sostegno si focalizzino determinati aspetti: far accettare nel miglior modo possibile il bambino e la sua sordità; far comprendere che il bambino sordo è un bambino normale, intelligente, che può essere recuperato totalmente o quasi e che il compito dei genitori è quello di collaborare costantemente a detto recupero. Questo è anche il momento in cui si conosce il bambino, si comincia la terapia e si imposta il lavoro da fare. (A. De Filippis, 1998).
E' difficile strutturare prove per indagare le capacità linguistiche e comunicative dei bambini nei primi anni di vita; proprio per questo si intervistano i genitori, chiedendo loro, ad esempio, se il bambino in situazioni quotidiane e familiari comprende frasi semplici, se produce azioni o gesti, se dice le prime parole. Durante il primo incontro mentre il logopedista parla con i genitori, il bambino può essere sistemato su un tappeto per terra con vari giochi o restare vicino alla mamma. In questo modo il logopedista nel fare le domande osserva come gioca e come si muove il bambino, con la possibilità di interagire. (P.Massoni, S.Maragna, 1997).
E' importante capire a quale stadio dello sviluppo senso-motorio è giunto il bambino, in particolare i primi comportamenti comunicativi, sia vocali che gestuali, appaiono nei primi anni di vita altamente correlati con alcune capacità cognitive. Pertanto prima di iniziare l'intervento logopedico è bene verificare se il bambino è pronto per comunicare e per parlare intenzionalmente. Un aspetto che merita particolare attenzione è l'uso dello sguardo e dell' indicazione nella comunicazione preverbale, che raggiunge il suo apice nell'uso della triangolazione, quando cioè il bambino, indicando l'oggetto che desidera, emette vocalizzi, alternando lo sguardo dall'oggetto all'adulto a cui lo sta richiedendo, formando così un triangolo tra sè, l'oggetto e l'adulto. (P.Massoni, S.Maragna, 1997).
Per indagare sulla funzione uditiva si possono fare domande ai genitori del tipo: "mentre il vostro bambino dorme in una stanza silenziosa, all'insorgere di un suono profondo si muove o comincia a svegliarsi? se piange perchè desidera la vostra presenza, si acquieta al suono della vostra voce, emessa fuori dal suo campo visivo? " A volte questo tipo di questionario, che scava sulla funzione uditiva, risulta ansiogeno per i genitori, in quanto si trovano a dover metter in rilievo il deficit sensoriale del proprio bambino. E' preferibile quindi osservare le risposte del bambino a stimoli sonori, come il tamburo, campanelli e voce durante il gioco. (P.Massoni, S.Maragna, 1997).
A questo punto si procede alla protesizzazione. Sia il bambino che i genitori non hanno familiarità con questo strano oggetto nell'orecchio. Per il bambino è importante che l'applicazione sia delicata e che l'adattamento sia graduale; inizialmente la protesi va portata alcune ore della giornata, in seguito continuamente. Per i genitori l'apparecchio protesico è anche segno tangibile e visibile della sordità del figlio, pertanto a volte può verificarsi un rifiuto inconsapevole. Con delicatezza e comprensione bisogna spiegare e dimostrare tramite le risposte del bambino che la protesi è indispensabile per recuperare il residuo uditivo; a tale scopo possono essere utili anche alcuni colloqui con uno psicologo. Ai genitori si danno una serie di indicazioni sul corretto uso dell'apparecchio, sulla manipolazione della protesi e su come sensibilizzare il bambino all'uso. Alla mamma e al papà si fa vedere, come inserire senza provocare attrito,  la chiocciola nell'orecchio grazie a un pò di saliva e ad un movimento di rotazione che garantiranno la messa in loco senza dolore e fastidio. Si consiglia l'uso di uno scotch di carta (in vendita in farmacia), che non fa male quando si stacca, per bloccare il potenziometro che regola il volume, e fissare l'apparecchio all'orecchio del bambino. Proprio lui tenderà a muoversi e a toccarsi molto l'orecchio, avvertendo un corpo estraneo, con il rischio di provocare un'alterazione del volume o addirittura la caduta della protesi. Le chiocciole devono essere rifatte rispettando la crescita del bambino, in modo che aderiscano perfettamente; nel caso in cui sorgano dei dubbi sulla funzionalità, la protesi va controllata. E' anche importante cambiare le pile frequentemente per assicurare il massimo rendimento della protesi ed averne sempre qualcuna di riserva, per poterle sostituire in caso ci si trovasse fuori da casa. L'educazione dei genitori del bambino o di chiunque sia a contatto e comunichi regolarmente con lui ad un uso corretto della protesi acustica è parte integrante della logopedia. (P.Massoni, S.Maragna, 1997).
Ancora più importanti sono i suggerimenti per lo sfruttamento della protesi acustica. I genitori a volte si convincono che, appena messo l'apparecchio, il loro bambino sentirà; è bene spiegare loro, che non è proprio così, anzi le sensazioni che arrivano al piccolo, possono risultare spiacevoli ed essere causa inizialmente di un rifiuto. Nel caso in cui il bambino continui a rifiutare l'apparecchio, anche dopo il periodo di adattamento, sarà utile andare dal medico audiologo insieme ai genitori per discutere il problema, in quanto la protesi potrebbe essere non adatta. Spetta alla famiglia far conoscere al bambino il mondo dei suoni ed è essenziale che questo processo avvenga con gradualità e sensibilità. I genitori dovranno parlare con voce normale, avendo cura di tenere il bambino sempre di fronte, in maniera che possa vedere il movimento della labbra, ma sopratutto la loro espressione facciale, per mantenere vivo il suo interesse e fargli scoprire l'aspetto vocale della comunicazione. Ogni gioco con la voce sarà utile: le filastrocche che si recitano tenendo il bambino sulle ginocchia (ad es.Batti, batti mani...), il Girotondo, il Cucù settete. Le attività di gioco con il bambino non sono solo uno scambio affettivo emotivo, ma il rivolgersi verso di lui vezzeggiando, con toni interrogativi o esclamativi, fa sì che il piccolo impari a distinguere le varie inflessioni e sfumature della voce. E' anche essenziale richiamare il bambino ai rumori dell'ambiente, come l'acqua che scroscia, il campanello che suona, lo squillo del telefono, la radio, la televisione. Probabilmente il bambino non sentirà tutti i suoni che lo circondano, ma all'inizio il compito della famiglia è proprio quello di portare alla consapevolezza che intorno a lui c'è un mondo di suoni e rumori. (P.Massoni, S.Maragna, 1997).
Importanti sono le regole della comunicazione visiva che riguardano: l'uso dello sguardo, l'uso dell'indicazione, l'uso dell'espressione facciale, l'uso dei turni di comunicazione interattiva da utilizzare nel campo visivo condiviso tra due parlanti. Queste regole per gli udenti sono difficili da rispettare, perchè la comunicazione vocale consente di guardare o indicare qualcosa fuori dal campo visivo e contemporaneamente parlare, senza per questo confondere il messaggio o interrompere la comunicazione. Per una persona sorda, ciò non è possibile in quanto nel momento in cui è impiegata a guardare qualcosa, non vede chi parla e l'ascolto deficitario la porta a non comprendere o a interrompere la comunicazione. I genitori devono essere consapevoli che quando indicano qualcosa fuori dal campo visivo del loro bambino, egli sposterà lo sguardo interrompendo la conversazione; per questo devono aspettare che lo sguardo del bambino torni su di loro prima di continuare a parlare. (P.Massoni, S.Maragna, 1997).
E' bene parlare con voce normale e ricca di intonazione, non è utile alzare la voce, perchè non solo aumenta l'intensità, ma quasi sempre anche la frequenza, cioè la voce diventa acuta. E' risaputo che nelle sordità profonde la perdita maggiore è proprio nelle frequenze acute, quindi gridare diventa controproducente. Un vocabolo pronunciato una sola volta o una sola spiegazione data non s'imprimono nella memoria del sordo; è importante ripetere più volte lo stesso messaggio e farlo esporre anche dal bambino. (P.Massoni, S.Maragna, 1997).
Finché il bambino è piccolo il logopedista, insieme alla famiglia, può strutturare il lavoro nei tempi e nei modi ritenuti i più opportuni da entrambe le parti. Quando il bambino arriva all'età scolare, il terapista deve anche tener conto delle richieste che vengono fatte dalla scuola, è indispensabile creare un rapporto di collaborazione con gli insegnanti. La terapia logopedica della sordità profonda può durare anche 10-12 anni, la funzione del logopedista è proprio quella di guidare il bambino nell'apprendimento della lingua orale e scritta; inevitabilmente durante gli anni della terapia egli diventa anche un punto di riferimento per lui e per la famiglia. L'educazione al linguaggio è dunque un percorso molto complesso con implicazioni logopediche, ma anche affettive, psicologiche ed educative. Proprio per questo tra il logopedista e la famiglia è bene si instauri un rapporto di fiducia, capace di diventare luogo di mediazione. (A. De Filippis, 1998).