L'alunno (sordo) a scuola: sordità, competenza linguistica e apprendimento

Valentina Paoli. Fondazione Gualandi a favore dei sordi.


Parlare di sordità è difficile: qualsiasi cosa si dica può dare adito a polemiche, più o meno strumentali, ma pur sempre polemiche e viceversa accade spesso che provocazioni potenzialmente utili vengano passate sotto silenzio. Le linee guida dell'educazione dei sordi e le opinioni dei "grandi" dei vari tempi cambiano sempre e molto seguendo evoluzioni inspiegabilmente poco logiche privandoci di punti di riferimento sicuri.

In questo panorama così caotico è lodevole l'intento del Centro di Documentazione per l'Integrazione di voler mettere dei punti fermi o di fare almeno un punto della situazione invitando ad un sereno confronto e perché no ad un po' di sano e fertile contrasto.

Se parlare di sordità è difficile, parlare di sordità e scuola lo è ancora di più: l'argomento potrebbe essere esaurito in 3 righe o in 3 volumi, a seconda che si adotti un punto di vista generale o relativo al caso specifico.

Il Prof. Giuseppe Gitti nel suo ultimo libro "Sordità e apprendimento della lingua" (Gitti G., Sordità e apprendimento della lingua, Milano, Franco Angeli, 2008), ha esaurito l'argomento in sole 10 righe che mi prendo la libertà di riportare qui di seguito:

"Il rendimento scolastico e' direttamente proporzionale alla competenza linguistica. Se i bambini arrivano a scuola senza competenza linguistica nessuna tecnica, nessun insegnamento potrà cambiare la situazione, non diventeranno mai competenti, non capiranno quello che leggono, non impareranno a scrivere correttamente e per la comprensione si affideranno al contesto e alla lettura labiale. Gli operatori sanitari e educativi potranno, con metodiche e tecniche, puntare a un ampliamento della competenza semantico - lessicale e, con la tecnica della semplificazione, procedere all'insegnamento delle materie." (p. 69)

Non esiste quindi il problema del bambino sordo, cieco o dislessico, ma il problema di quel bambino sordo, cieco, o dislessico, così come esistono problemi diversi per tutti i bambini. Mai attribuire sic et simpliciter la causa dell'insuccesso alla sordità, come invita a fare il titolo della relazione che pone il termine "sordo" fra parentesi: il "nodo di Gordio" non è il deficit uditivo ma la lingua e allo stesso modo non esiste il problema del bambino sordo a scuola ma del bambino sordomuto a scuola.

La parola sordomuto, dalle radici storiche che affondano in tempi remoti, è oggi anacronistica, fastidiosa e letteralmente fuori legge. Eppure oggi, 2008, è una parola che, a dispetto di quanto si voglia credere, ha ancora ragione di essere: sia in riferimento a tutti quei sordi profondi vittime della mancanza di servizi efficienti su tutto il territorio nazionale e della mancanza di protocolli diagnostici, protesici e riabilitativi adeguati e verificati dai risultati sia in riferimento ai sordi stranieri, una realtà sempre più presente nel territorio nazionale e sempre più ingombrante.

Eppure i sordomuti sono scomparsi dai convegni: si dice che tutto va bene, tutti riportano grandi successi pur utilizzando strategie completamente diverse, tutti sono contenti della situazione e del proprio operato, tutti segnalano grandi progressi; associazioni, specialisti, luminari affermano che la sordità è sconfitta.

La mia esperienza invece mi dice che non è vero, d'altronde se così fosse non saremmo qui oggi.

Se noi non definiamo con 4 aggettivi il bambino sordo possiamo dire tutto e il contrario di tutto e possiamo buttare nel calderone dei sordi tutti coloro che portano la protesi, o l'ortesi come ci insegna Chade, o l'impianto cocleare, a prescindere da tutte le altre differenze. Così facendo aumenta la confusione degli operatori del settore, degli insegnanti e di tutto il personale scolastico che di fronte a un alunno sordo non sanno davvero cosa aspettarsi.

E' necessario allora fare chiarezza e sottolineare che il discrimine ultimo sta fra gli aggettivi "sordo" e "sordomuto", cioè fra la presenza o l'assenza di competenza linguistica intesa in senso chomskiano, ovvero la capacità di comprendere e produrre frasi mai incontrate prima.

Credo che siamo tutti consapevoli del fatto che il sordo profondo, l'unico vero sordo agli effetti dell'apprendimento della lingua, può e riesce raggiungere un'adeguata competenza cognitiva e linguistica. Credo però che non sia ancora molto conosciuto come ciò sia possibile. Tale conoscenza renderebbe molto più facile e "naturale" la proposta di strategie compensative per gli apprendimenti e quindi anche per gli apprendimenti scolastici.

Non è questa la sede per illustrare il percorso linguistico del bambino sordo, né io sarei in grado di farlo; si consideri soltanto che il bambino sordo ha la possibilità di compensare il deficit uditivo a livello organico, funzionale, cognitivo, e ambientale in modo da acquisire un'adeguata competenza linguistica e cognitiva; quando ciò accade significa che non ha avuto e non ha problemi perché l'integrazione e la comunicazione sono alla base della lingua e a sua volta la lingua è la conditio sine qua non del successo anche scolastico.

Di conseguenza le persone sorde con competenza linguistica non hanno problemi né di tipo cognitivo, né di tipo linguistico, ma solo problemi di tutti e a seconda dell'età presa in esame possiamo rilevare nell'alunno sordo problemi psicologici, se ve ne sono, qualitativamente uguali a quelli dei coetanei e solo forse quantitativamente diversi, sicuramente non dovuti alla sordità di per sé, ma alla proiezione della sordità sul piano sociale, psicologico, relazionale, familiare e ambientale.

Diversa è la situazione delle persone sorde senza competenza linguistica, troppo spesso considerate in modo fuorviante alla stregua di stranieri in patria. In tali casi è lecito invece parlare di problemi psicologici, cognitivi e relazionali dovuti non solo all'impossibilità di mettersi in relazione con il mondo esterno, ma anche alle conseguenze di tipo cognitivo dovute all'assenza della lingua.

Le persone senza competenza linguistica sono persone prive della lingua, dell'unica che esiste; sono persone che pensano e si esprimono per immagini, non per concetti e che di conseguenza hanno un pensiero concreto. Nessun programma didattico, nessun software per quanto moderno, nessun tipo di hardware, nessuna protesi e nessuna tecnica potrà consentire il fiorire della lingua a un'età avanzata come quella scolastica. Esistono le eccezioni, certo esistono i miracoli, sempre che lo siano, ma è terreno della sanità, non della scuola.

Quando si parla di problemi del bambino sordo a scuola è quindi opportuno fare riferimento prima di tutto alla sua situazione linguistica oltre che alla sua storia personale.

La scuola, in riferimento al percorso riabilitativo, è il regno del "dopo": quando un bambino arriva a scuola i giochi linguistici sono già fatti e il corpo docente non può che prendere atto di una situazione già definita a livello linguistico e lavorare insieme alle altre figure professionali che hanno in carico il bambino sordo, modellando la didattica e stabilendo gli obiettivi scolastici sulle reali possibilità e limiti dell'alunno.

Semplificando e tenendo presenti le peculiarità di ciascuno, nella scuola arrivano 3 tipi di alunni sordi nettamente diversi fra loro e facilmente identificabili:

1. Alunni sordi con competenza linguistica e senza turbe associate: sono coloro che non hanno nessun problema di natura "particolare" ma solo problemi "di tutti" amplificati dal deficit della sordità. Ciò di cui necessitano sono soprattutto un ampliamento del vocabolario e alcuni accorgimenti nel comportamento dell'insegnante; le strategie didattiche da adottare, fra cui la tanto famosa e parimenti misconosciuta "semplificazione del testo", sono strategie "normali" utili anche per gli altri compagni. Le differenze sono quindi solo di ordine quantitativo, non qualitativo;

2. Alunni sordi senza competenza linguistica: sono coloro che oltre al deficit della sordità hanno l'handicap dell'assenza della lingua; per questi alunni le strategie e di conseguenza gli obiettivi non potranno che essere speciali; in assenza di competenza linguistica l'apprendimento scolastico non potrà che essere gravemente compromesso. In tale situazione è comunque possibile e doveroso, sempre in accordo con chi ha in carico il bambino, cercare di dare loro una competenza verbale (che è ben lontana dalla competenza linguistica) attraverso strategie speciali come la logocromia, una tecnica artificiale che usando i colori si pone l'obiettivo del raggiungimento di un linguaggio (linguaggio, non lingua!) verbale funzionale alla vita quotidiana. L'insegnante in questo caso in collaborazione con gli operatori sanitari e con la famiglia può e deve utilizzarla.

3. Alunni sordi con turbe associate: la sordità associata ad altri disturbi dà luogo a quadri clinici spesso non eclatanti ma estremamente complessi; in particolare gli eventuali disturbi specifici di linguaggio sono spesso mascherati oltre che aggravati dalla sordità stessa dando luogo ad inspiegabili carenze in un bambino ? apparentemente brillante. Inoltre in questi casi, quando sono presenti altre patologie di un certo rilievo, spesso e volentieri la sordità è l'ultimo dei problemi, oltre ad esserne un'aggravante; purtroppo spesso però tali alunni arrivano alla scuola con la semplice certificazione di sordità. Quel che resta da fare al corpo docente è, oltre a collaborare con il personale sanitario che ha in carico l'alunno, porre gli obiettivi facendo attenzione al livello cognitivo e linguistico e adottando il comportamento adeguato alle turbe specifiche presenti. È importante comunque non fare l'errore di attribuire le difficoltà al solo deficit uditivo, andando ad ingrossare le file dei fallimenti per giustificare metodiche speciali come soluzione generale alla sordità.

Queste categorie non vanno confuse sia per la didattica da adottare, una didattica che sarà normale in caso di competenza linguistica e speciale in caso di assenza della competenza linguistica, sia per il personale necessario a tale didattica.

Così come nel considerare le necessità cognitive, didattiche e psicologiche dell'alunno sordo non si può considerare solo la sordità, allo stesso modo nel considerare il personale necessario a seguire l'alunno e' necessaria una certa elasticità e non fare parti uguali per persone diverse.

Da quanto detto fino ad ora potrebbe sembrare che la persona sorda con competenza linguistica non abbia nessun problema: no, è vero, verissimo che anche chi ha competenza linguistica necessita di supporti? ma d'altronde chi è che non ha bisogno di nessun supporto?

Spesso gli operatori sanitari e scolastici chiedono precise indicazioni operative su cosa fare e mai sul perché fare. Richiedono ricettari, formulari, pacchetti all inclusive, materiale già pronto. Ogni caso, ogni alunno ha una sua storia, caratteristiche a lui peculiari e prescindenti dal deficit uditivo e non esistono ricette universali. L'insegnante inizialmente deve constatare la situazione linguistica dell'alunno e adattare ad essa tutti i propri strumenti didattici.

E' necessario un approccio che tenga conto del fatto che con strategie speciali si possono ottenere soltanto risultati speciali; che si ricordi che le strategie cognitive e linguistiche dell'alunno sordo, se e' presente la competenza linguistica, sono le stesse di tutti gli altri alunni, con differenze di ordine puramente quantitativo.

Il bambino sordo non va trattato come se fosse un bambino straniero che non parla l'italiano (altrimenti il problema non esisterebbe); se l'alunno purtroppo non ha competenza linguistica si può comunque lavorare su una competenza verbale dall'importanza tutt'altro che trascurabile, soprattutto con un approccio che non sopravvaluti o sottovaluti la sordità e le sue conseguenze ma riesca a darle il giusto peso.

In realtà gli insegnanti dispongono già di tutto ciò di cui c'e' bisogno per lavorare con l'alunno sordo, la lingua, la lingua e la lingua. Tutto sommato, non è poi così male!

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