L'apprendimento del linguaggio
Una delle caratteristiche peculiari della specie umana consiste nella facoltà di linguaggio che, pur essendo strettamente ancorata alla matrice biologica della specie, per la sua realizzazione necessita di una ambiente ricco di stimoli linguistici, in particolare durante un ben preciso periodo di vita dell'individuo (periodo critico). Ma in cosa consiste questa facoltà e quali possono essere le ripercussioni su di essa causate da un grave deficit uditivo?
Acquisizione del linguaggio e comunicazione nel bambino sordo
"Non il linguaggio parlato è naturale per l'uomo, ma la facoltà di costituire una lingua." (de Saussure, 1968, pp.19-20).
La facoltà di linguaggio è quella che permette ad ogni neonato, e quindi ad ogni bambino, di imparare una lingua a patto di venire esposto ad essa. Essere esposti ad una lingua significa udire e comunicare con l'ambiente circostante in quella lingua. Ad esempio, secondo diversi studi, i bambini che nascono in un ambiente dove si parla giapponese imparano il giapponese. I bambini che parlano in un ambiente dove si parla l'italiano imparano l'italiano. I bambini che nascono in un ambiente dove un genitore parla tedesco e un altro genitore parla italiano, imparano entrambe le lingue (Taeschner, 1983). E' evidente quindi che la capacità uditiva è fondamentale per poter imparare a parlare.
Alcune ricerche hanno cercato di appurare a quale età precisamente le produzioni vocali dei bambini vengono influenzate dai suoni uditi nell'ambiente. E' stato dimostrato che già nei primi mesi di vita i neonati producono contorni intonazionali diversi sulla base di contesti situazionali differenti (D'Odorico e Franco ,1991). Analisi acustiche raffinate permettono di individuare, a partire dai sei mesi, differenze legate all'ambiente linguistico di appartenenza, ad esempio distinguendo le produzioni vocali di un bambino francese da quelle di un bambino giapponese (Vihman e Miller, 1988). Un dato molto interessante è che anche i bambini sordi producano a questa età dei suoni, ma la loro lallazione sia povera e incoerente, proprio per la mancanza del feedback acustico (Oller, 1980).
Se dunque questi studi mostrano che esiste fin dal primo anno di vita uno specializzarsi della capacità percettiva e di produzione dei suoni secondo la lingua a cui si è esposti (Kuhl 1991), appare evidente che il deficit del canale acustico impedisce al bambino sordo questi primi sviluppi; tutto il successivo processo di acquisizione del linguaggio, nei suoi aspetti di comprensione e produzione, gli è così precluso. Il problema del bambino sordo è proprio questo: non potendo udire la lingua parlata intorno a sé, non può imitare i suoni dell'ambiente, non ha feedback acustico sulle sue stesse produzioni e non può comunicare appieno con coloro che lo circondano. La sua facoltà di linguaggio subisce così un arresto forzato.
Uno degli aspetti più drammatici della sordità è quello di essere un deficit in qualche modo "nascosto", non immediatamente visibile. I primi allarmi in famiglia sorgono dopo un anno di età, quando il bambino tarda nel produrre le prime parole. Fino ad allora il bambino spesso appare assolutamente normale e sembra capire tutto ciò che gli si dice. In realtà, i famigliari non si rendono conto che egli pone attenzione non tanto a ciò che gli adulti gli dicono, quanto al contorno non verbale: gesti, azioni, espressioni facciali che accompagnano le produzioni verbali.
La vista integra funge quindi da canale sostitutivo e può funzionare nel trasmettere tutta quella parte di comunicazione che viaggia su questa modalità. Accade però che, dal momento che la lingua utilizzata nel contesto famigliare si serve prevalentemente del canale acustico vocale, solo una parte molto ridotta di messaggi comunicativi raggiunge il bambino sordo che, per lo più, resta escluso dalla comunicazione linguistica con l'ambiente che lo circonda. I pochi messaggi che gli giungono sono in realtà estremamente impoveriti e, necessariamente, l'informazione si riduce.
Così non solo non può esercitare i suoi organi fonoarticolatori, ma (cosa ben più grave) neanche la sua facoltà di linguaggio, che gli permetterebbe di associare determinati significati (i concetti) con determinati significanti (le parole), di combinare questi significati in strutture sempre più complesse (le frasi), secondo le regole precise che variano da lingua a lingua (la grammatica e la sintassi)." (M.C. Caselli et al., 1994.)
L'importanza della competenza comunicativa
La facoltà di linguaggio, che è una delle espressioni della "multiforme" competenza comunicativa dell'uomo, nasce e si sviluppa nel corso dell'interazione tra il bambino e l'ambiente che lo circonda. A partire dagli anni settanta linguisti e psicologi dell'età evolutiva come D. Parisi, F. Antinucci, A. Austin, J.S. Bruner, E. Bates, L. Camaioni sono andati sostenendo due concetti assolutamente innovativi al riguardo: il primo è quello di contesto in quanto matrice di significati, concetto che ha comportato da parte degli studiosi di linguistica la formulazione di una grammatica centrata sull'aspetto semantico degli enunciati, a "scapito" di quello sintattico (si tratta della grammatica semantico-generativa: cfr. L. Camaioni (a cura di), Sviluppo del linguaggio e interazione sociale, Il Mulino, Bologna, 1978); il secondo aspetto sul quale hanno insistito riguarda invece la priorità della competenza comunicativa rispetto alla competenza linguistica (cfr. J.S. Bruner, "L'ontogenesi degli atti linguistici" in M.S. Barbieri (a cura di), Gli inizi del linguaggio: aspetti cognitivi e comunicativi, La Nuova Italia, Firenze, 1977).
Studi sulle competenze linguistiche
"Gli psicolinguisti post-chomskiani tendono a rifiutare l'idea che si possa studiare la competenza linguistica a prescindere dalle modalità della sua esecuzione, e ritengono piuttosto che un modello adeguato di questa competenza richieda, come sua parte integrante, un modello dell'esecuzione. In altri termini, lo studio dell'esecuzione non è irrilevante ai fini di definire le caratteristiche e i limiti della competenza sottostante. Ovviamente a questa posizione si è giunti attraverso una serie di tappe graduali (...). La prima tappa è rappresentata dalla semantica generativa, e consiste nella formulazione di modelli del linguaggio che, superando la separazione tra sintassi e semantica e la subordinazione della seconda alla prima (nel modello chomskiano il componente sintattico genera le frasi e il componente semantico si limita ad interpretarle), propongono un unico componente semantico-sintattico che genera strutture fornite fin dall'inizio di tutta l'informazione semantica necessaria e le trasforma poi in strutture superficiali. La seconda tappa si può caratterizzare come uno spostamento del focus dell'analisi dalla semantica alla pragmatica, definita come l'insieme delle regole che governano l'uso del linguaggio nel contesto. Questo spostamento del focus è stato generato dalla consapevolezza che il significato di una frase è ampiamente determinato dal contesto in cui essa viene usata." (dall' "Introduzione" di L. Camaioni (a cura di), Sviluppo del linguaggio e interazione sociale, op. cit., pp.8-9).
"Mentre nei decenni passati abbiamo imparato moltissimo sulla struttura del linguaggio, abbiamo forse tralasciato importanti considerazioni sulla sua funzione; abbiamo distolto cioè la nostra attenzione da come il linguaggio è usato. E poiché ritengo che gli usi del linguaggio siano cruciali per la comprensione del modo in cui il linguaggio viene acquisito e di come viene inizialmente usato, lo studio dell'acquisizione del linguaggio ne è risultato distorto. Tale distorsione, naturalmente è avvenuta in direzione di una preoccupazione per la sintassi, di un enfasi sui cambiamenti di struttura del linguaggio. E' una preoccupazione i cui risultati ci hanno per fortuna liberato da quelle spiegazioni semplicistiche secondo cui l'acquisizione del linguaggio era un processo graduale di ammassamento di rinforzi, di associazione, o di imitazione.
Invece il linguaggio è acquisito come uno strumento per regolare il lavoro comune e l'attenzione comune; e in realtà la sua struttura riflette queste funzioni e la sua acquisizione ne viene impregnata." (J.S. Bruner, "L'ontogenesi degli atti linguistici" in M.S. Barbieri op. cit., pp.140-141).
Questo nuovo approccio agli studi del processo di acquisizione del linguaggio possiamo perciò descriverlo di stampo pragmatico proprio per l'importanza data al contesto, ovvero all'ambiente (fisico e relazionale) nel quale hanno luogo i processi educativi.
Tutto questo porta ad una nuova riflessione circa gli iter educativi che vengono - o possono venire - adottati per favorire nei bambini sordi l'acquisizione della lingua; in una prospettiva "ecologica" la scelta di un metodo non si pone se non dopo aver vagliato attentamente tutti i fattori che direttamente o indirettamente entrano in gioco nel processo educativo, influenzandone la riuscita.